Carburanti, cessioni intracomunitarie e prova dell’avvenuto trasporto

L’analisi dell’avvocato Bonaventura Sorrentino – studio legale e Tributario Sorrentino Pasca Toma

Nell’ambito della filiera commerciale degli operatori del settore petrolifero avere certezza ai fini Iva della natura delle cessioni di beni e prodotto fuori dal territorio nazionale e del loro reale trasferimento è di evidente importanza e dunque idonei elementi probatori in tal senso vanno in qualche modo identificati.

Una recente circolare dell’Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), la numero 11 del 5 giugno 2020, si è espressa proprio sulla prova del trasporto nelle cessioni intracomunitarie considerando le norme comunitarie e la prassi nazionale.

In tal senso la circolare richiama, nelle premesse, le modalità stabilite dal regolamento di esecuzione n. 2018/1912 adottato dal Consiglio europeo il 4 dicembre 2018, applicabile agli Stati membri dal 1° gennaio 2020. Alcune importanti modifiche venivano infatti apportate alla disciplina europea degli scambi intracomunitari, a decorrere dal 1° gennaio 2020, al fine di evitare che nei vari Stati membri vi fossero interpretazioni difformi delle disposizioni relative ad alcune specifiche operazioni.

In particolare, nella direttiva del Consiglio n. 2018/1910 del 4 dicembre 2018 sono contenute alcune disposizioni riguardanti, rispettivamente: a) l’invio di beni in un deposito di un altro Stato membro in esecuzione di un contratto di call-off stock; b) le cessioni consecutive di beni, oggetto di un unico trasporto intracomunitario dal primo fornitore all’acquirente finale (c.d. operazioni a catena); c) la valenza da attribuire nelle cessioni intracomunitarie al numero di identificazione Iva.

Disposizioni relative alle modalità di prova dell’avvenuto trasporto dei beni oggetto di cessioni intracomunitarie in uno Stato membro diverso da quello di partenza sono state, dunque, previste dal regolamento di esecuzione n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018 ed applicabile negli Stati membri dal 1° gennaio 2020.

Notoriamente, in base alla vigente disciplina degli scambi intracomunitari, per qualificare una determinata operazione come cessione intracomunitaria di beni, non imponibile ad Iva nel Paese membro di partenza dei beni stessi, è necessaria la sussistenza di specifici requisiti.

In particolare la normativa nazionale, in attuazione di quanto previsto dalla direttiva Iva, stabilisce che affinché una cessione di beni ad un soggetto comunitario possa essere qualificata come una cessione intracomunitaria, usufruendo conseguentemente della non imponibilità ad Iva nel Paese di partenza, è necessario che: a) l’operazione intercorra tra due soggetti passivi d’imposta; b) che si tratti della cessione a titolo oneroso di un bene mobile materiale; c) che essa comporti l’acquisizione o il trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene medesimo; d) che il bene ceduto sia spedito o trasportato in altro Stato comunitario.

La spedizione o il trasporto possono peraltro essere eseguiti dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto. Tali requisiti devono ricorrere congiuntamente, altrimenti la cessione è soggetta ad imposta.

La grave carenza operativa deriva dalla condizione che né la normativa comunitaria, né quella nazionale specificano in che modo debba essere provato che il trasporto o la spedizione di beni in un altro Stato membro siano effettivamente avvenuti.

La normativa comunitaria si limita, invero, a disporre, in termini generali, che spetta a ciascuno Stato membro determinare le condizioni per assicurare la corretta applicazione dell’esenzione dall’imposta delle cessioni intracomunitarie e per prevenire possibili abusi.

Neppure il legislatore nazionale ha previsto norme che individuino i documenti con cui gli operatori nazionali possano provare l’effettiva movimentazione dei beni oggetto di cessioni intracomunitarie.

È di tutta evidenza l’importanza di definire e delineare con chiarezza gli elementi di prova dei trasferimenti. Ciò anche e principalmente al fine di evitare che tali carenze possano supportare intenti fraudolenti.

Tipicamente, in mancanza di indicazioni normative di merito, prima della entrata in vigore del regolamento 2018/1912, l’Agenzia delle Entrate, tenendo conto dei principi affermati dalla Corte di giustizia e dalla Cassazione, arrivava ad affermare il principio secondo il quale la spedizione o il trasporto del prodotto in altro Stato comunitario potessero essere provate dal fornitore utilizzando documenti coerenti di natura fiscale e commerciale , da cui si potesse desumere l’effettiva movimentazione del bene in uno Stato membro diverso da quello di partenza.

Come riportato in precedenza, per colmare il vuoto normativo veniva emanata una indicazione che ha inserito, a decorrere dal 1° gennaio 2020, l’articolo 45 bis nel precedente regolamento di esecuzione n. 282 /2011.

L’Agenzia delle Entrate ha fornito a sua volta i primi chiarimenti sulle nuove modalità di prova delle cessioni intracomunitarie stabilite dal regolamento comunitario n. 2018 /1912 con la recente circolare n.12 del 12 maggio 2020.

Sostanzialmente il citato art. 45-bis prevede che i beni ceduti si presumono spediti o trasportati da uno Stato comunitario ad un altro Stato membro se ricorrono specifiche condizioni di cui gli operatori devono fornire prova nei modi e nei termini ivi previsti, che variano – come illustrato nella nostra circolare n. 29 del 2019 – a seconda della circostanza che il trasporto sia effettuato dal soggetto cedente o dal soggetto cessionario.

La norma specifica, peraltro, che l’Amministrazione finanziaria può disconoscere la non imponibilità della cessione se in possesso di prove sufficienti che dimostrino che i beni non sono stati spediti o trasportati in altro Stato membro: la presunzione prevista dalla nuova disposizione è quindi una presunzione relativa.

Le anzidette modalità di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria, come riportato nella circolare Assonime, pur avendo il pregio di eliminare la precedente situazione di incertezza interpretativa, risultano molto stringenti per gli operatori, specie nei casi in cui il trasporto dei beni è a cura dei cessionari (clausola di resa “ex works” o “franco fabbrica”): in tali casi, infatti, i cedenti, dopo la consegna dei beni ai cessionari o ai loro vettori, incontrano serie difficoltà nell’acquisire dai loro clienti i documenti individuati, in modo tassativo, nell’art. 45-bis.

Passando ai chiarimenti della Agenzia delle Entrate sulle nuove modalità di prova delle cessioni intracomunitarie, essi, come abbiamo visto, vengono riportati nella citata circolare n. 12/E del 12 maggio 2020.

Proviamo a riassumerli sinteticamente:

nella ipotesi in cui il trasporto è effettuato a cura del cessionario, l’art. 45-bis richiede una dichiarazione da parte di quest’ultimo che attesti l’avvenuto arrivo a destinazione del bene, che deve essere consegnata al cedente, entro il decimo giorno del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione: la consegna tardiva al cedente di tale dichiarazione non preclude l’operatività della presunzione.

l’inapplicabilità della presunzione stabilita dall’art. 45-bis nei casi in cui il trasporto avviene ad opera del cedente o del cessionario senza l’intervento di soggetti terzi, quali, ad esempio, lo spedizioniere o il trasportatore: e ciò in quanto la norma richiede che gli elementi non contraddittori idonei a provare il trasporto provengano da due parti indipendenti sia tra loro che dal venditore e dall’acquirente.

Per quanto riguarda il concetto di “parti indipendenti”, l’Agenzia fornisce alcuni esempi di casi in cui due soggetti coinvolti in una cessione intracomunitaria non possono essere considerati tali:

non sono “parti indipendenti”, né la stabile organizzazione e la casa madre, in quanto riconducibili al medesimo soggetto giuridico, né l’amministratore e la società dallo stesso amministrata, né le società legate da rapporti di controllo, trattandosi di soggetti legati da vincoli gestionali, finanziari o giuridici.

Nella circolare n. 12/E, l’Agenzia delle Entrate individua, poi, le ipotesi in cui la presunzione stabilita dall’art. 45-bis può essere superata.

Ed in tal senso le Autorità fiscali degli Stati membri conservano, per scongiurare finalità elusive, comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuto trasporto o spedizione intracomunitaria prevista da tale norma.

Ciò si può verificare quando l’Amministrazione finanziaria viene in possesso di elementi che dimostrino che i beni ceduti non siano stati effettivamente trasportati in uno Stato membro diverso da quello di partenza.

L’Agenzia riporta da ultimo alcuni esempi concreti: a) il caso in cui, nel corso di un controllo, si riscontri che i beni ceduti si trovano invece nel magazzino del cedente; b) quello in cui si venga a conoscenza di un incidente, verificatosi durante il trasporto, che ha causato la distruzione dei beni. In tali circostanze, essendo stato appurato oggettivamente che il trasporto non è avvenuto, non è possibile che si configuri una cessione intracomunitaria, e dunque la non imponibilità dell’operazione non può essere riconosciuta né a norma dell’art. 45-bis di cui si tratta, né con altre modalità.

La presunzione stabilita dall’art. 45-bis può essere, invece, superata, ad avviso dell’Agenzia, qualora l’Amministrazione finanziaria dimostri che uno o più documenti previsti dalla norma contiene informazioni non corrette o false.

In tal caso, il cedente, contrariamente a quanto avviene nella precedente ipotesi, ha la possibilità di fornire altri elementi di prova e applicare il trattamento di non imponibilità.

Una interessante precisazione contenuta nella circolare n. 12/E riguarda poi la possibilità di avvalersi della presunzione stabilita dall’art. 45-bis anche precedentemente al 1° gennaio 2020, data dalla quale è efficace la nuova norma. L’Agenzia afferma, infatti, che la presunzione in esame può essere riconosciuta anche in relazione alle operazioni realizzate in precedenza, qualora il contribuente sia in possesso della documentazione richiesta per l’operatività dell’art. 45-bis.

L’Agenzia si riserva la possibilità di individuare modalità di prova diverse e anche meno rigide da quelle stabilite dall’art. 45-bis.

Un’ultima considerazione riguarda i rapporti fra la presunzione di cui all’art. 45-bis e la prassi nazionale.

Nella circolare n. 12/E l’Agenzia delle entrate riconosce, che in tutti i casi in cui non è applicabile la presunzione stabilita dal più volte citato art. 45-bis del regolamento n. 282 del 2011, la prova delle cessioni intracomunitarie può essere fornita attenendosi alle indicazioni contenute nei documenti di prassi emanati in materia dall’Amministrazione finanziaria, anche anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 45-bis, alcuni dei quali sono richiamati nella prima parte della circolare stessa.

Sono quindi tuttora validi i chiarimenti in tema di prova delle cessioni intracomunitarie contenuti, ad esempio, nella risoluzione n. 19/E del 25 marzo 2013.

In conclusione si ritiene di interesse il contenuto esegetico di talune indicazioni fornite dalla Agenzia a fronte di interpelli, quali prove ritenute comunque idonee a definite i trasferimenti cessioni intracomunitarie; in particolare riportiamo la posizione della Amministrazione Finanziaria a risposta dell’interpello n. 100, dell’8 aprile 2019.

Viene esaminato il caso di una società che effettua cessioni intracomunitarie di beni sia “franco destino” che “franco fabbrica”.

Nel caso di specie, la società chiarisce che all’atto della spedizione dei beni emette un documento di trasporto (DDT), con indicazione della destinazione dei beni, normalmente firmato dal trasportatore per presa in carico; quando il trasporto è a cura della società, la stessa riceve la fattura del trasportatore con l’indicazione dei trasporti effettuati.

Oltre al Ddt la società predispone un documento recante:

  • l’identificativo del committente (ossia il cessionario in fattura);
  • il riferimento della fattura di vendita;
  • il riferimento della fattura logistica (documento interno);
  • la data della fattura;
  • la data del Ddt;
  • la destinazione delle merci, il paese di destinazione e l’anno di ricezione delle merci stesse;
  • la dichiarazione da parte del cessionario comunitario che “le merci relative alle fatture sopra indicate sono regolarmente pervenute presso il nostro terzista, il nostro deposito oppure presso i nostri negozi … nel mese di …”. Tale dichiarazione, timbrata, datata, sottoscritta dal cessionario, è spedita alla società cedente, la quale ne trattiene copia al fine di dare prova dell’avvenuto trasporto in altro Stato Ue.

Al riguardo l’Agenzia, confermando la validità delle indicazioni contenute nelle precedenti risoluzioni 28 novembre 2007, n. 345/E, 15 dicembre 2008, n. 477/E e 25 marzo 2013, n. 19/E, ha riconosciuto che la documentazione descritta può costituire prova idonea dell’avvenuta cessione intracomunitaria a condizione che:

  • siano individuabili i soggetti coinvolti e tutti i dati dell’operazione;
  • si provveda a conservare le relative fatture di vendita, la documentazione bancaria, quella contrattuale e degli elenchi intrastat.