Frodi carburanti, considerazioni sull’efficacia della responsabilità solidale Iva

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Avv. Bonaventura Sorrentino

Studio legale e tributario Sorrentino Pasca Toma

Un nuovo contributo dell’avvocato Bonaventura Sorrentino (studio legale e tributario Sorrentino Pasca e Toma) sul tema tanto ampio quanto attuale del contrasto alle frodi nella distribuzione carburanti. Questa volta si parla del senso, dei limiti e dell’efficacia nell’applicazione del principio della responsabilità solidale Iva

Notoriamente il 23 gennaio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto 10 gennaio 2018, in materia di estensione alla benzina ed al gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori dell’ambito di applicazione dell’articolo 60 bis del decreto Iva, così come disposto dall’articolo 1 comma 4-quinquies, del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96.

È considerato sostanzialmente un provvedimento per contrastare le ipotesi di frodi fiscali tipicamente finalizzate, da un lato ad evadere l’imposta e dall’altro a realizzare in capo agli organizzatori della frode capienza/plafond finanziario per immettere sul mercato prodotto ad un costo bassissimo, procurando un danno all’Erario e, in termini di concorrenza, agli imprenditori onesti.

Il provvedimento normativo infatti prevede che all’art. 1, comma 1, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 22 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 304 del 31 dicembre 2005, come modificato dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 31 ottobre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 282 del 3 dicembre 2012, dopo la lettera d-bis) è aggiunta la seguente:

«d-ter) benzina e gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori.

La finalità è in sostanza quella di poter recuperare l’imposta non versata dal cedente e nel contempo immettere sul mercato un prodotto il cui costo è in linea con quello prevalente, evitando che il discostarsi da quest’ultimo vada ad incidere sulla operatività degli altri imprenditori che si sono riforniti ad un costo maggiore .

Più chiaramente, l’articolo 60 bis del Dpr 633/72, introdotto dall’articolo 1, comma 386, della legge 311/2004 (Finanziaria 2005), stabilisce il principio di responsabilità solidale da parte del cessionario nel pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, nel caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente, per cessioni di beni. Le operazioni a cui si fa riferimento sono le cessioni di beni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, nel caso in cui il cedente non versi la relativa imposta in sede di liquidazione e dichiarazione. Pertanto, per consentire l’azione di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria occorre il “contemporaneo” verificarsi di entrambi i presupposti oggettivi (prezzo inferiore al valore normale e mancato versamento dell’imposta da parte del cedente).

La norma richiamata stabilisce “… In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, e’ obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.

L’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta.

Qualora l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di cessione avente ad oggetto un immobile e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione…”.

Dunque la questione che si pone riguarda intanto le due fasi che in sede di verifica dovrebbero essere l’una propedeutica all’altra; più specificamente si presume che in sede di controllo o di verifica bisogna valutare la congruità del prezzo praticato dal cedente e riportato sulla fattura di acquisto, verificando altresì il mancato versamento dell’imposta da parte di quest’ultimo.

In buona sostanza, da una interpretazione strettamente letterale della norma, qualora il prezzo dovesse risultare congruo (diciamo un Platts più o meno in linea), ciò potrebbe bastare per dissuadere una verifica sul versamento della Iva da parte del cedente, essendoci già carenza di una delle condizioni.

Il fatto che il prezzo praticato in fattura possa essere ritenuto in linea, non obbligherebbe ad un “controllo incrociato” sul cedente con riferimento al versamento dell’Iva ; dichiarando la norma la necessità del verificarsi di entrambe le condizioni: prezzo inferiore al normale e mancato versamento dell’imposta da parte del cedente.

È del tutto evidente che l’omesso versamento dell’Iva da parte del cedente realizzerebbe in capo a quest’ultimo un plafond tale da poter garantire un “rientro” al cessionari, pur praticando allo stesso un congruo prezzo di cessione.

In conclusione, prescindendo dalle considerazioni su cosa possa intendersi come valore normale e le deroghe di merito previste dallo stesso articolo 60 bis che lasciano comunque ampio spazio discrezionale, il contemporaneo verificarsi di entrambi i presupposti è da intendersi in una contemporanea e sinergica verifica in capo al cedente ed al cessionario anche nel caso in cui il prezzo riportato in fattura dovesse essere in linea con il Platts praticato. Ai posteri l’ardua applicazione della norma, anzi ai verificatori.

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