L’affidamento a terzi dei servizi nel settore della distribuzione dei carburanti

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L’affidamento a terzi dei servizi nel settore della distribuzione dei carburanti

In una rete dai margini “risicati” e sempre più popolata da “indipendenti”

Tra i numerosi eventi che hanno punteggiato a fine ottobre a Roma la due giorni di Oil&NonOil in un susseguirsi e accavallarsi di convegni, seminari e workshop che rendevano quanto mai difficile il lavoro sia degli operatori interessati a più d’uno di questi eventi sia dei giornalisti impegnati a darne in qualche modo conto, uno a cura dello Studio Legale Sorrentino-Pasca-Toma a fine mattinata del 30 ottobre era dedicato a riflettere sulle ipotesi alternative ai rapporti di lavoro dipendente nella distribuzione dei carburanti e sui presupposti e condizioni per prendere in considerazione l’esternalizzazione, o meglio l’affidamento a terzi, di alcuni servizi. Sulla base di un’ampia relazione introduttiva dell’avv. Bonaventura Sorrentino che ha affrontato e sviscerato il tema da più angolature. Partendo dalla situazione di una rete carburanti dai margini particolarmente “risicati” che spinge a ricercare forme di organizzazione del lavoro e dei servizi in grado di ridurre i costi. Un tema che interessa un numero crescente di operatori che si autodefiniscono “indipendenti” e che innalzano loro loghi e non più solo le sette o otto compagnie internazionali e nazionali che per anni con il contratto di comodato hanno condizionato il mercato. Una “bozza di discussione”, come Sorrentino l’ha definita, aperta al confronto che ha passato in rassegna i pro e i contra del contratto di commissione, dell’utilizzo di cooperative, dei subcontratti di appalto, dell’affidamento a terzi dei servizi sul piazzale, della trasformazione in impianti ghost, del recesso unilaterale senza obblighi risarcitori e di indennizzo per finire con una breve annotazione sulle opportunità offerte dal jobs act. Eccone il testo che pubblichiamo per gentile concessione dell’autore.

La trattazione della tematica è indubbiamente complessa e presenta aspetti problematici e nodi interpretativi, anche con riferimento al contratto di commissione che regolamenta i rapporti tra retisti e gestori.

Dunque un argomento complicato da trattare, ma sicuramente di attenzione per gli operatori del settore; interesse che mi spinge a formulare, laddove è possibile,riflessioni di principio.

La prima riguarda la possibilità di gestire l’attività aziendale, da parte degli operatori del settore, con riferimento ai costi dei dipendenti (per quanto riguarda i gestori) ed a quelli di gestione diretta delle aree con riferimento ai retisti/gestori ed ai retisti con interesse a realizzare aree ghost), servendosi, nei casi in cui ciò sia possibile, di forme di esternalizzazione, alternative a rapporti di lavoro dipendente ed alle attuali previsioni contrattuali con specifico riferimento alla operitività regolamentata negozialmente.

Meno costi con margini “ristretti”

In sostanza la finalità è quella di esprimere le esigenze di merito imprenditoriali e gestionali dei retisti e dei gestori verificando, laddove è possibile, ipotesi di soluzioni alle stesse, nel rispetto della normativa vigente e dei contratti che regolamentano i rapporti tra le parti.

Tutto ciò in un mercato in cui le esigenze imprenditoriali di ridurre alcuni costi fissi di una attività che consente margini di profitto “risicati”, si coniugano con la necessità di poter disporre di “ strumenti” operativi che possano incidere sensibilmente nella sezione “dare” del conto economico.

Una necessità che impone alle imprese del settore, in taluni casi ai fini della loro stessa sopravvivenza, una modifica dei propri “modelli funzionali”, spingendole ad individuare nuove forme di organizzazione del lavoro e dei servizi necessari per una proficua azione gestoria orientata alla redditività.

In sintesi, la finalità è quella di verificare la sussistenza o meno delle condizioni necessarie per la “esternalizzazione dei servizi” che riguardano la gestione dei componenti la rete di distribuzione dei carburanti, quale valido strumento per un decurtamento di taluni costi fissi.

Certo è un argomento ancora più complicato in un settore in evoluzione che sta cercando un assetto anche normativo, spesso con fatica ed un equilibrio in presenza di interessi legittimi, anche se, in taluni casi, divergenti. Tutto ciò in un mercato che sta cambiando, ampliandosi notevolmente con l’incremento delle imprese definite indipendenti e che esige, come è giusto, una riorganizzazione specificamente della rete di distribuzione .

Dunque un argomento, quello della esternalizzazione, che va trattato in una linea di coerenza, anche del legislatore, con i cambiamenti; una linea normativa di coerenza che potrebbe consentire e giustificare eventuali ulteriori spazi interpretativi ed applicativi delle norme anche lavoristiche, in sintonia con i contratti di riferimento del settore e con la normativa in materia di jobs act (un anglicismo distorto per intendere una parziale riforma del diritto del lavoro), che è oggettivamente orientata ad aperture applicative che inciderebbero anche nel settore di riferimento.

In sintesi, il tentativo è quello di provare a rimodulare, nel rispetto della normativa vigente e dei contratti che regolamentano i rapporti tra retisti e gestori e tra gestori e propri dipendenti, gli strumenti e le condizioni specifiche di taluni costi, orientandoli ad una decurtazione tale da contribuire al superamento della fase di criticità economica in cui versano talune aziende del settore.

È di tutta evidenza che queste considerazioni e riflessioni di merito hanno una valenza esclusivamente interlocutoria, senza pretesa risolutiva né esaustiva e vanno intese come “bozza di discussione”, trattandosi di considerazioni di principio.

Sull’argomento l’esigenza concreta, riportata da diversi operatori del settore, riguarda una verifica del rispetto dei dettami di legge e delle previsioni del contratto di commissione, nella ipotesi di una regolamentazione diversa, ulteriore ed alternativa rispetto a quella tipicamente praticata, con riferimento:

a) al rapporto, contrattualmente regolamentato, per talune ipotesi, tra retista e gestore;

b) ai rapporti del gestore con i propri dipendenti;

c) ed inoltre, principalmente, tra retista in gestione diretta e propri dipendenti, nonché con riferimento alle ipotesi di riorganizzazione, da parte dei retisti e delle Compagnie nella regolamentazione della gestione a fronte dell’uso del sistema di erogazione automatizzata.

In particolare nella ipotesi di praticabilità di impianti interamente automatizzati (c.d. Ghost) di cui all’articolo 28 , comma 7 del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111 e successive modifiche ed integrazioni, ossia come modificato dall’articolo 18 del D.L. numero 1 del 2012 (con riferimento alla automazione fuori dai centri abitati) ed all’art. 23 della legge 161 del 2014 (per l’automazione anche nei centri abitati).

Condizioni da verificare

Sull’argomento sub c), la questione di rilievo inerisce considerazioni circa la possibilità o meno e le condizioni eventualmente consentite, di poter recedere, unilateralmente, da parte del committente/retista o della compagnia petrolifera, senza obblighi di indennizzo o risarcitori, dal contratto di commissione e da accordi stipulati con il gestore realizzando un punto ghost.

In sintesi, le riflessioni riguardano:

a) la possibilità o meno di regolamentare diversamente l’operatività del gestore ed eventualmente la manodopera allo stesso necessaria, affidando in outsourcing (ossia esternalizzando) il servizio a cooperative o società di servizi, nel rispetto ovviamente delle clausole del contratto di commissione;

b) nell’ipotesi di retista gestore, la possibilità di sostituire i dipendenti assunti a tempo indeterminato con cooperative o società di servizi (eventualmente composte dagli stessi dipendenti, vedremo a quali condizioni ciò potrebbe essere consentito);

c) la possibilità o meno e le condizioni che possano eventualmente consentire al retista una diversa organizzazione dell’azienda utilizzando sistemi di automazione, a fronte del contratto di commissione, ipotizzando un recesso unilaterale dal contratto affrancato dagli oneri risarcitori previsti.

È di tutta evidenza che tali esigenze, nella loro attualità, sono sorte a seguito del nuovo panorama del sistema di distribuzione, legato alla liberalizzazione del mercato ed alla crescita del numero degli impianti indipendenti e, di conseguenza, ai vincoli dettati dalle formule contrattuali consentite.

Ma andiamo per gradi, seppure sommariamente: la legge 24 marzo 2012, di conversione del decreto legge sulle liberalizzazioni dei carburanti, al fine di garantire una più incisiva razionalizzazione della rete distributiva, ha favorito lo sviluppo di operatori indipendenti anche attraverso forme di aggregazioni, incentivando tra l’altro la razionalizzazione di impianti automatizzati, quale strumento di pressione concorrenziale.

Con riferimento alla tematica in esame, va detto in sintesi che l’azione liberalizzatrice e l’auspicabile dinamicità del mercato derivante dalla stessa dovrebbe, in coerenza, consentire anche una maggiore elasticità con riferimento alle ipotesi che vedevano, in origine, una forma di oligopolio da parte delle compagnie petrolifere che operavano sul mercato al dettaglio, utilizzando la propria capillare rete di distribuzione con l’uso di contratti di comodato sottoscritti con i propri gestori accompagnati da un obbligo di fornitura esclusiva quale forma di rientro del capitale investito.

Il contratto di commissione

La legge richiamata, di conversione del decreto legge sulle liberalizzazioni del 24 gennaio 2012, all’art.17, consentiva ai gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti, che fossero anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera, di rifornirsi liberamente da qualsiasi produttore, ponendo sui quantitativi limiti temporali; così come consentiva in aggiunta ai contratti di comodato e fornitura, la possibilità di adottare differenti tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione dei carburanti: e dunque si arriva, con vari passaggi normativamente regolamentati, al contratto di commissione.

Una nuova tipologia contrattuale finalizzata a rendere maggiormente flessibile lo strumento contrattuale tra proprietari e gestori ed alleggerire il carico finanziario delle imprese di gestione; se ciò è vero, come è vero, forse potrebbero essere consentiti spazi di discussione in particolare con riferimento alla posizione ed al ruolo del commissionario.

Ciò detto e riprendendo il discorso di premessa, la “fattispecie” di azienda o di “aziende tipo” che vengono rappresentate quali titolari delle esigenze espresse, si compongono tipicamente:

– di una eterogenea forza lavoro (compresa quella necessaria per la funzionalità amministrativa) dislocata sui diversi impianti;

– per diversi tipi di rifornimenti;

– in presenza anche di impianti self, con un sistema di pagamento in carta moneta attraverso apposite attrezzature.

Le problematiche da affrontare richiedono considerazioni di premessa, e vanno esaminata caso per caso, anche alla luce di precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione che si è pronunciata, ad esempio (per casi analoghi in settori diversi), sulle condizioni necessarie che possono consentire, a prescindere dal settore in cui viene utilizzata, una esternalizzazione dei servizi a cooperative o società, praticamente con la caratteristica della “continuità” e della esclusività del rapporto, in alternativa a rapporti di lavoro dipendente.

È del tutto evidente che la esternalizzazione non deve incidere sulla titolarità del contratto.

In tale ipotesi, il rispetto delle clausole contrattuali è un aspetto fondamentale e richiede chiarezza da subito, per gli aspetti di interesse.

Sostanzialmente gli articoli di rilievo dell’accordo tipo, sono ai nostri fini, l’articolo 4 e l’articolo 20 del contratto di commissione.

L’interpretazione letterale dell’articolo 4 del contratto (che regolamenta la titolarita del contratto) lascia intendere, nella prima parte, un assegnazione intuitu personae, e vieta al commissionario (gestore): la cessione del contratto; l’affidamento a terzi della esecuzione del contratto; la esecuzione e la cessione in uso a terzi del punto vendita.

Così come, l’art. 20, con riferimento ad una “clausola risolutiva espressa” prevede che il contratto si risolva di diritto nel caso di cessione dello stesso o di modifica della titolarità della gestione.

È di tutta evidenza che le ipotesi di divieto indicate nel contratto, per la loro applicazione ed incidenza, sembrerebbero presumere una sorta di trasferimento aziendale, che però non si verificherebbe nelle ipotesi in cui la titolarità aziendale restasse, come nei casi ipotizzati di esternalizzazione del servizio, in capo al gestore che, nell’ambito della propria autonomia imprenditoriale ed economica, ben può governare i propri interessi finalizzati ai minori costi di gestione, servendosi di terzi fornitori di servizi, siano essi cooperative o società di servizi.

L’utilizzo di cooperative

Una analisi particolare richiede, come vedremo, l’ipotesi di utilizzo di una cooperativa composta da soci ex dipendenti del gestore o del gestore/retista.

Sostanzialmente si può ritenere che, con l’utilizzo di un soggetto giuridico terzo, quale fornitore dei servizi al gestore sul piazzale: non si verificherebbe cessione del contratto, né tantomeno affidamento a terzi della esecuzione del contratto, così come non si verificherebbe cessione d’uso del punto vendita.

Non si verificherebbe cessione del contratto: in quanto, tipicamente, la cessione di un contratto (che nella fattispecie dovrebbe verificarsi tra il gestore/commissionario e terzi) è il negozio giuridico mediante il quale il titolare di un rapporto contrattuale (gestore/commissionario) a prestazioni corrispettive (nel caso di specie il contratto di commissione) non ancora eseguite, sostituisce a se un terzo con il consenso dell’altra parte (committente/retista).

La cessione del contratto è una vicenda unitaria nel senso che ciò che con essa si trasferisce è il rapporto contrattuale e più precisamente la posizione contrattuale quale complesso di diritti ed obblighi scaturenti dal contratto.

Nello specifico si dovrebbero trasferire (affinché si possa parlare di cessione di contratto) tutti gli obblighi previsti dal contratto di commissione in capo al commissionario ed i relativi diritti.

Condizioni queste che non sembrerebbero verificarsi nel caso in cui il gestore dovesse conferire un incarico ad un soggetto terzo con riferimento alla mera fornitura di servizi.

Non si verificherebbe altresì affidamento a terzi della “esecuzione” del contratto, in quanto il terzo (cooperativa o società di servizi) sarebbe mero “strumento operativo” per l’esecuzione negoziale.

Ritengo si possa ritenere che la clausola di “divieto di affidamento a terzi dell’esecuzione del contratto”, essendo inserita in un contratto di commissione che ha una analoga regolamentazione di un contratto di mandato, dovrebbe esplicitare la mancata autorizzazione, da parte del committente, a che il commissionario possa avvalersi di submandatari stipulando un subcontratto e/o di sostituti (esecutori del contratto).

Il caso del subcontratto

In tal senso occorre chiarire che il subcontratto può essere definito come il contratto mediante il quale una parte (il gestore/commissionario) reimpiega nei confronti di un terzo la posizione che gli deriva da un contratto in corso, detto contratto base.

Il subcontratto riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume con il terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto: ad esempio l’appaltatore diviene committente.

Il subcontratto, rimane nettamente distinto rispetto alla cessione, in quanto non opera il trasferimento della posizione contrattuale da un soggetto ad un altro.

Al contratto base si aggiunge un nuovo contratto che ha per oggetto posizioni giuridiche semplicemente derivanti dal primo.

Può tranquillamente dirsi che il subcontratto costituisce una autonoma figura di dipendenza di un contratto rispetto ad un altro, caratterizzata dal reimpiego della posizione contrattuale derivante da un rapporto in corso di esecuzione.

Trasferendo tale principio al caso di specie, si può ritenere che non si viola il divieto di affidare a terzi l’esecuzione del contratto, nel momento in cui il gestore dovesse decidere di avvalersi di prestazioni da parte di terzi.

Così come non si verificherebbe una cessione d’uso del punto vendita; ciò è facilmente intuibile in considerazione della ipotizzabile operatività di un terzo.

Tanto meno ci sarebbe una modifica della titolarità della gestione, in quanto indubbiamente, alla luce delle considerazioni giuridiche succintamente riportate, non si trasferisce la titolarità.

Il contratto di servizi

A questo punto ritengo rilevante focalizzare, brevemente, il concetto di esternalizzazione “dei servizi; che fa riferimento a quelle procedure mediante le quali l’azienda affida la gestione di “alcuni segmenti” della propria attività ad altra impresa attraverso un contratto di servizi.

Sostanzialmente “una parte” di operatività che veniva svolta dal gestore o dal retista all’interno dell’impresa e sotto il controllo e le direttive dall’imprenditore, verrebbe svolta da un terzo.

La questione, come vedremo, diventa complessa e delicata da gestire nel momento in cui si andrebbe a sostituire manodopera già esistente.

In tal senso, va subito detto, che la giurisprudenza di merito ha chiarito da subito che la mera esternalizzazione può configurare una ipotesi di interposizione (vietata) se non si fonda su elementi obiettivi.

Sostanzialmente nel caso di accordo con società di servizi terze, così come con cooperative di servizi, da parte del gestore, con riferimento ai servizi sul piazzale, è necessario e fondamentale che l’impresa utilizzata sia diciamo “autentica”, ossia detentrice di una propria reale autonomia produttiva, anche sotto il profilo della gestione del personale; contrariament , ci troveremmo di fronte ad una mera fornitura o somministrazione di manodopera e quindi ad una interposizione, vietata dalla legge, del gestore in un rapporto che in realtà interporrebbe tra i lavoratori della società di servizio ed il gestore.

In sintesi è richiesta alla “società di servizi” una organizzazione dei mezzi o del lavoro.Organizzazione dei mezzi o del lavoro che deve consistere nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo, della società appaltante.

Appaltante e appaltatore

Ne deriva che, qualora l’appaltante (gestore) dovesse dirigere direttamente i dipendenti dell’appaltatore, ciò sarebbe un indice sufficiente della non autenticità dell’appalto.

Sostanzialmente il controllo dell’appaltante deve essere relativo alla attività dell’appaltatore e non alle persone da questo dipendenti; così come occorre che il rischio di impresa ricada in capo all’appaltante, non limitandosi a fornire la manodopera; in tal senso la Cassazione parla di “reale organizzazione della prestazione” (cass. 28 marzo 2011 n. 7034).

Bisogna inoltre scartare (nel senso che non riguarderebbe le esigenze del settore) i casi di esternalizzazione conseguente alla cessione di un ramo di azienda; l’outsourcing che potrebbe riguardare il settore, inerisce invece il potere organizzativo e esercitato dall’imprenditore.

Con la esternalizzazione dei lavori svolti da manodopera dipendente attraverso un contratto con terzi, l’attività che è continuata dall’appaltatore (cooperativa o società di servizi) non comporta affatto la cessione della organizzazione né, come abbiamo visto, del contratto.

Occorre distinguere il subentro nella attività (che potrebbe riguardare la fattispecie) dalla cessione della “entità economica” che, invece si concreta nella cessione dei mezzi organizzati.

Servizi sul piazzale

Nell’ipotesi di esternalizzazione dei servizi sul piazzale saremmo, a mio parere, semplicemente in presenza di una nuova forma di organizzazione dell’impresa da parte del gestore o del retista/gestore, laddove però la società di sevizi o la cooperativa organizza i mezzi necessari ed esercita il potere direttivo assumendosi il rischio di impresa (Cassazione 28 marzo 2011 n. 7034).

Sinteticamente è sufficiente che i lavoratori impiegati nel servizio siano diretti dalla società che svolge il servizio stesso; contrariamente, ossia anche nel caso in cui siano diretti anche solo promiscuamente dal retista o dal gestore, ricorrerebbe una ipotesi di irregolarità.

La Corte di Cassazione, con riferimento all’affidamento ad una società cooperativa in forza di contratto di appalto di servizi con soppressione dei posti di lavoro, dettata dalla necessità di riassetto organizzativo e da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, ha stabilito la legittimità dell’affidamento, se dettato appunto da esigenze economiche ed organizzative.

Condizioni ulteriori, in linea con tale disposto, sono richieste nel caso in cui si dovesse decidere per l’utilizzo, da parte del gestore o del retista/gestore, di una cooperativa composta da ex dipendenti.

Ferma restando la necessità di un approfondita analisi caso per caso, e le verifiche necessarie di natura lavoristica e di tutela sindacale, la prima condizione propedeutica e necessaria, in coerenza con le indicazioni dottrinali di merito, potrebbe essere quella che viene definita una “imprenditorialità necessaria”, che può anche prescindere dal fatto che la cooperativa presti servizi ad un’unica impresa.

Ancor più, sembrerebbe forse praticabile l’ipotesi in questione (con tutte le riserve del caso per divergenti posizioni dottrinali), in presenza di una situazione di crisi aziendale (e di riorganizzazione con necessaria decurtazione del numero di dipendenti) laddove, a fronte di una ipotesi alternativa di licenziamento, venga praticata dai dipendenti l’attività in forma di cooperativa anche nei confronti del precedente datore di lavoro; ribadisco comunque in presenza necessaria per la cooperativa di autonomia imprenditoriale nella gestione.

Chiaramente, nel merito valgono le considerazioni fatte sulla interposizione fittizia di manodopera che andrebbero esaminate con particolare attenzione.

La trasformazione in “ghost”

Passando alla possibilità di trasformazione di aree di sevizio con gestori in “ghost” (ossia in impianti esclusivamente self con sistema di prepagamento), nel rispetto delle previsioni contrattuali di cui al contratto di commissione che regolamenta i rapporti tra retisti e gestori, occorrono talune considerazioni di premessa, finalizzate ad inquadrare l’attuale eterogenea regolamentazione.

Abbiamo detto che l’entrata in vigore dell’art. 23 della legge 30 ottobre 2014 n. 161, la c. d. legge europea 2013 bis, allineando la disciplina nazionale degli impianti di distribuzione di carburante senza assistenza di personale (ovunque ubicati) a quella europea, ha eliminato le limitazioni prima esistenti.

Nel merito si è espresso anche il Consiglio di Stato, con sentenza n. 93 del 2015, con riferimento ad una serie di atti, norme e provvedimenti regionali che avevano impedito a talune compagnia petrolifere di gestire un impianti di distribuzione carburante self service, senza personale.

Il Consiglio di Stato, in sintesi, accoglie la tesi della Compagnia petrolifera ricorrente, alla luce delle seguenti considerazioni:

– l’obbligo di conformare il diritto nazionale a quello europeo;

– il rilievo che la disciplina nazionale, in materia di installazione degli impianti di distribuzione carburante, veniva sottoposta ad un severo scrutinio da parte della Corte di giustizia europea in relazione ai principi posti a tutela della libertà di prestazione di servizi

– l’obbligo di una interpretazione costituzionalmente conforme, considerato che due sentenze della Corte Costituzionale: dell’11 giugno 2014 n. 165 e del 15 maggio 2014 n. 125, dichiaravano incostituzionali leggi regionali che avevano introdotto divieti di installazione e funzionamento di impianti automatici di distribuzione di carburante senza sorveglianza del gestore, ritenendo violate, da parte delle impugnate disposizioni regionali l’articolo 117, comma 2, lett. e) della Costituzione.

Dunque piena legittimità per gli impianti ghost.

Impianti che sostanzialmente derogano al “ruolo tradizionale” del gestore ed alla necessità di un certo numero di dipendenti, necessitando sostanzialmente di minimo personale amministrativo e dunque di una sensibile riduzione dei costi.

Una possibile variante

Potrebbe essere interessante fare qualche considerazione prospettica ed eventuale, con riferimento ad una ipotizzabile evoluzione dell’interesse del mercato orientato in tal senso.

Uno spazio che si potrebbe ritenere, come dire, da riempire nella sua regolamentazione “di passaggio” per le Compagnie petrolifere ed i retisti; specificamente con riferimento agli impianti regolamentati da contratto di commissione stipulato con i gestori ed attualmente vigente.

In merito agli impianti attualmente operanti in vigenza del contratto di commissione, si ipotizzi la trasformazione degli stessi, in presenza di gestore commissionario,in impianti ghost.

Con specifico riferimento ad una ipotesi di recesso da parte del committente, propedeutico e talvolta necessario per la trasformazione dell’area in ghost, il contratto di “commissione tipo”, all’articolo 3), quarto comma, sul diritto di recesso, riconosce al committente il diritto di recedere dal contratto, senza che il commissionario possa avere nulla a che pretendere a titolo di risarcimento e/o di indennizzo, in casi tassativi, tra cui non rientra il caso di trasformazione dell’area in ghost.

Ciò lascia intendere che il recesso per tale motivo sia consentito a fronte di un indennizzo o risarcimento al gestore/commissionario!

Il caso del recesso unilaterale

Ma si potrebbe provare a fare considerazioni ulteriori circa la natura del recesso unilaterale senza obblighi risarcitori o di indennizzo, verificando la eventuale applicabilità al caso di specie laddove la trasformazione si dovesse rendere necessaria a fronte di una esigenza di riorganizzazione.

Tale interpretazione, assolutamente rilevante per gli operatori del settore retisti e compagnie petrolifere, inciderebbe sulla possibilità di sottrarsi al contratto di commissione (per i retisti) e ad ogni forma di accordo per le Compagnie petrolifere con riferimento all’obbligo risarcitorio, nel caso in cui si dovesse optare in vigenza dell’accordo, per un ghost.

Il riferimento di principio è stato condiviso ed enunciato dalla Corte di Cassazione, che, con riferimento all’istituto giuridico del recesso, espressamente ha stabilito la possibilità di recedere da un accordo “…….in presenza di fatti che debbono valere a giustificare nelle vicende contrattuali una perdita economica ed un sacrificio di interessi a carico di una sola parte. L’obbligo di indennizzare il mandatario dei danni eventualmente subiti viene meno qualora ricorra una giusta causa”.

La corte suprema di Cassazione ha sostanzialmente affermato che la “cosiddetta giusta causa di revoca del mandato non vale a rendere legittima la revoca stessa, la quale è sempre legittima costituendo esercizio di un diritto potestativo del mandante, ma vale semplicemente ad esonerare il mandante dall’obbligo dell’indennizzo nei confronti del mandatario, ed a giustificare o, meglio, a consentire l’eventuale compressione e sacrificio dell’interesse del mandatario.

Al riguardo, viene di norma presa in considerazione la cosiddetta giusta causa di natura soggettiva, costituita da fatti ed avvenimenti inerenti al comportamento del mandatario, che, anche se non integrano inadempimenti in senso tecnico e proprio, alterano i normali rapporti tra le parti e ledono gli interessi del mandante.

Comunemente si ammette anche in dottrina ed in giurisprudenza, che la giusta causa di revoca del mandato possa anche avere natura oggettiva, essere cioè costituita da circostanze, fatti ed avvenimenti del tutto estranei alla condotta ed alla sfera del mandatario,ed esclusa qualsiasi inosservanza od inadempienza da parte dei mandatari.

Il parere della Cassazione

In sintesi la Cassazione ha ritenuto che la fattispecie legale della giusta causa oggettiva di revoca del mandato possa essere così determinata e definita: “è costituita da fatti ed avvenimenti obiettivi, certi… è non opinabili, pregiudizievoli in maniera rilevante per gli interessi del mandante che, dall’esterno, operano sulle vicende negoziali ostacolando il normale svolgimento della attività gestoria e la realizzazione della funzione economica del rapporto”.

Di regola, si tratta di circostanze sopravvenute rispetto al momento del conferimento del mandato, non previste e non prevedibili in tale momento, anche se non si può escludere che possa trattasi pure di circostanze obiettive preesistenti al momento del conferimento del mandato, ma in tal caso deve trattasi di fatti non conosciuti e non conoscibili dal mandante in quel momento neppure con l’uso della normale diligenza, in maniera che la mancata tempestiva considerazione di essi non possa in alcun modo essere ricollegata e riferita ad una condotta omissiva negligente o disattenta del mandante medesima.

Sostanzialmente con riferimento al caso dei ghost si potrebbe forse osservare che il mandante o contraente (società petrolifera o retista) non potesse essere a conoscenza, nella stragrande maggioranza dei casi di sottoscrizione di accordi o contratto di commissione, delle possibilità di poter utilizzare il ghost senza limiti….!!!

Quantomeno in considerazione del fatto che tale possibilità veniva consentita espressamente dall’articolo 23 della legge n. 161 del 30 ottobre 2014 che eliminava ogni residua restrizione all’utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato (ghost).

Il caso del licenziamento

Un’ultima breve annotazione, per quanto di riferimento riguarda il “giustificato motivo oggettivo di licenziamento” alla luce del decreto legislativo del 4 marzo 2015 n. 23, che ha introdotto all’interno dell’ordinamento italiano il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato c.d. a tutele crescenti, rivisitando il regime del licenziamento nullo o illegittimo per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015.

Per quanto concerne tale tipologia di licenziamento il decreto citato all’art. 3, comma 1, dispone che ove ne ricorrano gli estremi: il giudice dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento; condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a: due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.

Va inteso che questa regolamentazione si occupa esclusivamente del licenziamento illegittimo.

Il decreto legislativo non ha modificato la nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ossia per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa”.

Va chiarito che, una giurisprudenza di merito, confermata anche a seguito della legge 92/2012 c.d. Riforma Fornero sostiene che, in ipotesi di giudizio, il datore di lavoro debba dimostrare la effettività delle ragioni organizzative e produttive alla base del licenziamento e l’incidenza delle stesse sulla posizione lavorativa ricoperta dal prestatore di lavoro.

Il giudice, in base al principio generale ora espressamente ribadito,non può sindacare le scelte economiche organizzative del datore di lavoro tra cui rientrano verosimilmente quelle di affidare a terzi il servizio al quale prima era addetto il dipendente licenziato, ma deve soltanto verificare l’effetto di tali scelte ed il nesso causale con il licenziamento.

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