Solidarietà Iva in caso di frode: presupposti e conseguenze

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Le riflessioni di Bonaventura Sorrentino dello studio legale e tributario Sorrentino Pasca Toma. I “prezzi inferiori al valore normale” e i tipi di frode su cui il provvedimento del governo va a incidere

Il 23 gennaio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto 10 gennaio 2018, in materia di estensione dell’ambito di applicazione dell’articolo 60bis del decreto Iva, così come disposto dall’articolo 1 comma 4-quinquies, del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96.

Sostanzialmente un ulteriore passo del legislatore per contrastare le ipotesi di frodi fiscali tipicamente finalizzate, da un lato ad evadere l’imposta e dall’altro a realizzare in capo agli organizzatori della frode capienza/plafond finanziario per immettere sul mercato prodotto ad un costo bassissimo, procurando un danno all’Erario e, in termini di concorrenza, agli imprenditori onesti.

Al fine di poter comprendere l’incidenza del nuovo provvedimento normativo, riportiamo succintamente le tipiche frodi su cui lo stesso andrebbe ad incidere.

Uno dei meccanismi fraudolenti finalizzati alla sistematica evasione delle imposte, in relazione alla commercializzazione di prodotti energetici, viene attuato attraverso l’utilizzo di “false dichiarazioni di intento” e di società cosiddette cartiere, fittiziamente interposte nella filiera commerciale.

La “dichiarazione di intento”, regolamentata dall’art. 1, comma 1, lettera c) del D.L. 746/1983 convertito nella legge 17/1984, è il documento con il quale un imprenditore del settore attesta falsamente al fisco di essere in possesso dei requisiti previsti dalla norma per essere definito “esportatore abituale” e dunque avere titolo per poter acquistare da un fornitore nazionale prodotto destinato alla esportazione e dunque non assoggettato ad Iva.

Normalmente accade che un soggetto economico terzo venga deliberatamente interposto tra i due operatori commerciali (falso esportatore e suo fornitore), al fine di utilizzare fraudolentemente il regime di non imponibilità Iva utilizzando false dichiarazioni di intento.

Il soggetto interposto acquista da fornitore nazionale dichiarandosi esportatore abituale e dunque affrancando la cessione dal gravame Iva ma invece di esportare rivende il prodotto ad un operatore nazionale, incassando l’imposta riportata sulla fattura di vendita senza però versarla all’Erario; così come l’acquirente detrarrà l’imposta riportata in fattura ma mai versata all’Erario.

Sostanzialmente la condotta fraudolenta si concretizza nella fittizietà del ruolo rivestito nella filiera distributiva del soggetto interposto che si “interpone” solo formalmente al mero scopo di consentire al proprio cliente nazionale di accumulare “Iva a credito” da portare in detrazione corrispondente alla sua “Iva a debito” mai versata.

L’operazione fraudolenta delineata realizza un duplice considerevole illecito vantaggio:

· uno di carattere fiscale: il cliente finale matura il diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti mai versata all’Erario dal suo fornitore;

· uno di carattere economico: circa la possibilità, da parte del falso esportatore, di poter praticare un prezzo molto basso (spesso Platts) avendo omesso di versare l’imposta, creando un effetto distorsivo della concorrenza e ledendo i principi posti a base dell’ordinamento tributario e quelli riguardanti la corretta contribuzione del carico fiscale sanciti dall’articolo 53 della Costituzione.

Anche per le frodi nelle operazioni di importazione dei prodotti energetici accade che la società “cartiera” residente, acquirente intracomunitaria e cedente alla prima venditrice, omette il versamento dell’Iva addebitata (cartolarmente) in via di rivalsa in totale pregiudizio per l’Erario, posta la sua assoluta incapienza (nella prassi si ribadisce trattasi di società esistenti solo virtualmente e senza alcun patrimonio aggredibile da parte dell’Erario).

Contemporaneamente, la società acquirente italiana esercita regolarmente il diritto di detrazione per l’imposta così come addebitata in fattura dalla cartiera, abbattendo il proprio debito Iva nei confronti dell’erario: spessissimo, naturalmente, si tratta di Iva che non è mai stata subita effettivamente in via di rivalsa.

Dall’asimmetria applicativa del tributo sul valore aggiunto, unitamente alla non imponibilità delle cessioni intracomunitarie, deriva la possibilità per il contribuente fraudolento di precostituirsi ragioni di credito nei confronti dello Stato, che vede così comprimersi il gettito Iva e al contempo si trova nella impossibilità di rivalersi nei confronti della cosiddetta “cartiera”.

Le operazioni “carosello”, come sopra riassunte, conoscono poi nella prassi applicativa infinite varianti fra loro anche sensibilmente diverse, in ragione del fatto che la cessione di beni sia assolutamente simulata, o che lo sia solo in parte, o ancora che la movimentazione di merce abbia effettivamente luogo (ipotesi oltremodo infrequente) ma che la società “cartiera” ometta il versamento del tributo, o ancora che fra la prima società e la cartiera si inseriscano una o più società “interposte” (buffer, per usare la terminologia inglese altrettanto soventemente impiegata in questi casi).

Il legislatore dunque al fine di contrapporsi al fenomeno evasivo ha voluto inserire tra i prodotti di cui all’articolo 60 bis, comma 2, del decreto n.633 del 1972 in materia di regolamentazione Iva, la benzina ed il gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori.

Più chiaramente, l’articolo 60 bis del Dpr 633/72, introdotto dall’articolo 1, comma 386, della legge 311/2004 (Finanziaria 2005), stabilisce il principio di responsabilità solidale da parte del cessionario nel pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, nel caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente, per cessioni di beni. Le operazioni a cui si fa riferimento sono le cessioni di beni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, nel caso in cui il cedente non versi la relativa imposta in sede di liquidazione e dichiarazione. Pertanto, per consentire l’azione di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria occorre il contemporaneo verificarsi di entrambi i presupposti oggettivi (prezzo inferiore al valore normale e mancato versamento dell’imposta da parte del cedente).

La definizione di valore normale del bene è contenuta nell’articolo 14 del Dpr 633/72, che lo definisce come “prezzo mediamente praticato per beni della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni sono stati acquistati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”. Può, inoltre, farsi riferimento alle leggi in vigore se i beni sono soggetti alla disciplina legale dei prezzi ovvero, se si tratta di beni in condizioni di libero mercato, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio. La valutazione del prezzo di cessione dei beni, considerando il loro valore normale, costituisce tuttavia un’eccezione rispetto al principio generale applicato alle operazioni soggette a Iva, che si considerano effettuate sulla base dell’ammontare complessivo del corrispettivo pattuito dalle parti (articolo 13, comma 1), che può essere diverso dal valore normale dei beni ceduti. L’applicazione dell’imposta all’imponibile rappresentato dal valore normale dei beni ceduti costituisce una deroga a tale principio, ed è contenuta nel successivo comma 2, lettera c, dell’articolo 13.ffettuate a prezzi inferiori al loro valore normale.

La presunzione assoluta può essere superata dalla prova contraria a carico del cessionario (vero e proprio caso di inversione dell’onere della prova) che il prezzo inferiore è stato determinato da eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso al mancato pagamento dell’imposta da parte del cedente. Tale prova deve essere fornita all’Amministrazione finanziaria su base documentale.

In questo ambito si innesta dunque il decreto del 10 gennaio 2018 ; essendosi ritenuto con l’articolo 1, comma 4-quinquies del decreto legge 24 aprile 2017 n. 50, convertito dalla legge 21 giugno 2017 n. 96, 4-quinquies che il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, estendesse l’ambito di applicazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 22 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005, anche al settore dei combustibili per autotrazione, in applicazione dell’articolo 60-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

Qualche considerazione potrebbe riguardare la necessità o meno di placet formalizzato dal legislatore comunitario, così come della oggettiva duplice posizione fiscale del cessionario.

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