La decisione del giudice di pace di Venezia: una rivoluzione nell’applicazione dell’IVA o una svista?

Avv. Bonaventura Sorrentino

Avv. Emanuela Pasca

Commenti favorevoli e di plauso si sono susseguiti alla pronuncia del Giudice di Pace di Venezia del marzo di quest’anno, che ha riconosciuto la fondatezza della richiesta di rimborso dell’IVA, corrisposta con il pagamento delle bollette di gas ed energia elettrica, per la quota parte applicata sull’importo di accisa ed addizionale provinciale.

Le ragioni fatte valere dall’istante si sono fondate essenzialmente sul principio statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3671 del 1997, che sarebbe stato, altresì, ratio decidendi della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 2009.

La questione affrontata dalla Corte di Cassazione ha ad oggetto la pretesa, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di riscuotere la tassa di lotteria sull’ammontare dei premi in palio, accresciuto dell’imposta sul valore aggiunto, considerando dunque l’IVA base imponibile della suddetta tassa.

Per una serie di considerazioni, anche di natura civilistica, la Corte asseriva che “… ai fini della determinazione della base imponibile, ai sensi dell’art. 52 del r.d.l. 19.10.1938 n. 1933 (ndr tassa di lotteria), per prezzo di acquisto della merce deve intendersi il corrispettivo versato dall’operatore economico che organizza l’operazione a premio, al netto della componente fiscale (ndr IVA). (…) Dalla suddetta normativa (ndr DPR 633/1972 in materia di IVA) emerge, con chiarezza, un elemento di continuità rispetto alla disciplina precedente all’introduzione dell’IVA , che induce ad escludere la riconducibilità di questo tributo nella nozione di prezzo, rispetto al quale rimane sempre esterno e perciò non computabile come componente del corrispettivo della cessione. (…) Un ulteriore argomento, a conferma della soluzione che considera come base imponibile il solo prezzo, è dato dal fatto che la pretesa inclusione dell’i.v.a nel concetto di prezzo, recato dall’art. 52 r.d.l. n. 1933/1938 comporterebbe che, almeno in parte, la tassa di lotteria verrebbe a gravare su un altro tributo, senza un’espressa previsione normativa (…). Al vigente ordinamento tributario non è, per vero, sconosciuto un siffatto tipo di imposizione, anche se esso costituisce un’anomalia rispetto ai principi fondamentali dell’ordinamento tributario, in base ai quali un prelievo fiscale – conseguenza, e non indice, di capacità contributiva – non può costituire in tutto o in parte base imponibile per un nuovo prelievo di analoga natura. Ne consegue che, in assenza di apposita previsione normativa, si deve ritenere che la componente fiscale non costituisca prezzo e non faccia parte della base imponibile.”.

Va subito chiarito che la sentenza sopra riportata, come evidente, si occupa di una fattispecie ben diversa, rispetto a quella oggetto della pronuncia del giudice di pace di Venezia; ciò in quanto la Corte di Cassazione esaminava un’ipotesi “inversa”, in cui l’Amministrazione riteneva si dovesse includere l’IVA nella base imponibile di altro tributo, ossia, nello specifico, la tassa di lotteria.

La posizione della Suprema Corte veniva dalla stessa motivata dall’assenza, nel caso specifico, di espresse previsioni di legge che consentissero di includere l’IVA nella base imponibile della tassa di lotteria.

Prima di addivenire a conclusioni affrettate, esaminiamo dunque, la normativa in materia di IVA, al fine di verificare se sussistano disposizioni normative, anche a livello comunitario, in grado di smentire la possibilità di ritenere le statuizioni della Suprema Corte, un principio generale valevole in ogni caso, a prescindere dal dettame di legge.

L’articolo 78 della direttiva comunitaria 112 del 2006, in materia di IVA, recepito nella normativa interna, prevede che “Nella base imponibile devono essere compresi gli elementi seguenti: a) le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA; (…)”; il riportato precetto normativo è sostanzialmente identico a quello contenuto nella sesta direttiva IVA.

La Corte di Giustizia, nella sentenza C-106/10, pronunciatasi sulla interpretazione della citata norma, ha sostanzialmente stabilito che “… affinché imposte, dazi, tasse e prelievi possano rientrare nella base imponibile dell’IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, essi devono presentare un legame diretto con tale cessione (sentenza 22 dicembre 2010, causa C-433/09, Commissione/Austria, punto 34 e giurisprudenza citata).”.

Assodato dunque che, ai fini della determinazione della base imponibile IVA, sussistono espressi dettami che includono nella stessa, imposte, dazi, tasse e prelievi, analizziamo la disciplina delle accise sull’energia elettrica ed il gas per verificare se quest’ultima vi rientri o meno.

L’articolo 26 del testo unico accise, rubricato “Disposizioni particolari per il gas naturale” dispone che “Il gas naturale (…), destinato alla combustione per usi civili e per usi industriali, nonché all’autotrazione, è sottoposto ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per il gas naturale estratto per uso proprio.”.

Analogamente, l’art. 52 del testo unico accise, rubricato “Oggetto dell’imposizione”, per l’energia elettrica, dispone che “L’energia elettrica (…) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio”.

Dal combinato disposto di tali norme con la norma comunitaria IVA, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, sembrerebbe corretto affermare che l’accisa vada a confluire nella base imponibile dell’IVA al momento della cessione al consumatore finale.

Ulteriore richiamo giurisprudenziale del ricorrente innanzi al Giudice di Pace di Venezia, riguarda la sentenza della Corte Costituzionale n. 238/09, con la quale i giudici costituzionali hanno riconosciuto la natura tributaria della tariffa di igiene ambientale e ne hanno escluso l’assoggettamento ad IVA in quanto trattasi di importi percepiti da enti pubblici; tutto questo in applicazione dell’art. 13 della direttiva 112 del 2006, che prevede espressamente “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. (…)”.

Dunque è la natura giuridica del percettore che consente l’esclusione dalla base imponibile IVA.

Qualche dubbio sorge per l’estensione di quanto statuito dalla Corte Costituzionale al caso dell’accisa addebitata al consumatore finale, con applicazione dell’IVA, nella bolletta; ciò in quanto, in tal caso il percettore non è direttamente l’ente pubblico, ma il soggetto privato che vende energia elettrica e gas, che, a sua volta, è obbligato al pagamento dell’accisa nei confronti dell’erario, con diritto di rivalsa sul consumatore.

Sostanzialmente non è così scontato che i principi posti a fondamento della richiesta al Giudice di Pace di Venezia possano ritenersi di generica applicazione, poiché riguardano fattispecie ben diverse dal caso dell’accisa; inoltre il Giudice nel concedere il rimborso non ha addotto alcuna specifica motivazione che consenta di interpretare in tal senso la disciplina dell’IVA, limitandosi a richiamare quanto statuito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 3671/1997, anche se, come precisato all’inizio di questo commento, la Suprema Corte si è pronunciata su una fattispecie “inversa”, rispetto a quella oggetto di domanda.