Frodi carburanti, descrizione e analisi legale delle conseguenze

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Frodi carburanti, descrizione e analisi legale delle conseguenze

I rischi di un coinvolgimento processuale per le imprese estranee alla frode

Evasione dell’Iva, dell’accisa, cambiamento di destinazione di prodotti agevolati, immissione in consumo di prodotti “adulterati”. Il fenomeno dell’illegalità nella distribuzione carburanti è in crescita e arriva ormai a coinvolgere – consapevolmente o meno – anche operatori “onesti”. L’analisi dell’avvocato Bonaventura Sorrentino in vista del convegno su questi temi che si svolgerà giovedì a Torino.

È del tutto evidente che le recenti posizioni delle principali associazioni rappresentative sindacali e di categoria del settore petrolifero, con riferimento a sistemi di frode finalizzata all’evasione fiscale, che “inquinano” il mercato, sono sintomatiche di una situazione dannosa ed esasperante per gli operatori onesti che, in una sorta di orientamento ad un “cartello morale”, si obbligherebbero reciprocamente ad un atteggiamento di chiusura verso imprese del settore petrolifero volte a disegni criminosi (v. Staffetta 05/04, ndr).

Da troppi anni, le “frodi tributarie” nel settore petrolifero oltre ad avere una rilevanza penalistica incidono pesantemente sulla distribuzione dei prodotti e soprattutto negativamente sul bilancio degli imprenditori.

Un fenomeno di evasione fiscale giunto a generare un vero e proprio allarme per le aziende e le associazioni di categoria, che sono orientate ad utilizzare strumenti di tutela praticabili anche per scongiurare il rischio di un coinvolgimento processuale per quegli imprenditori che possono ritrovarsi, come capita, loro malgrado, parti della filiera della distribuzione in cui va ad annidarsi la frode, pur essendo estranei al disegno criminoso.

Progetto che perfeziona solitamente il reato di “contrabbando” (vedremo poi che il termine contrabbando, nelle frodi in esame, non è corretto non trattandosi quasi mai tecnicamente di contrabbando) così come di “frodi carosello”, che sono dunque i reati di maggiore incidenza e complessità; reati giuridicamente definibili con “struttura complessa” considerata la loro consumazione con i diversi passaggi nella filiera commerciale.

È importante sottolineare tale aspetto, in quanto esso può far correre rischi di un coinvolgimento (almeno nella fase delle indagini se non in quella istruttoria del processo) anche ad imprese estranee al progetto criminoso che possono, come capita, trovarsi coinvolte in un processo penale loro malgrado.

Tipicamente le tipologie di reato contestate per i casi di frode tributaria nel settore petrolifero vengono aggravate dalla imputazione di “associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale”, spesso di natura transnazionale.

È dunque rilevante verificare le condizioni e i presupposti previsti dalla norma per tale imputazione; ciò consente di comprendere per quale motivo ed in quali casi si può realmente parlare di coinvolgimento dell’operatore commerciale nel reato di evasione commesso da più persone e dunque di una sua reale partecipazione all’associazione a delinquere e quando, invece, il coinvolgimento è soltanto derivante da un mero lecito accordo commerciale e dunque dalla sua partecipazione ad una “fase” della filiera commerciale necessaria ma estranea alla frode e sicuramente estranea all’associazione con finalità evasiva.

Siamo in presenza di una “condotta persistente e volontaria nei passaggi di filiera o in talune fasi di detti passaggi”: in sostanza parliamo di un reato che si può consumare già con il primo passaggio di introduzione della merce sul mercato fino al cessare della circolazione illecita, dunque in un percorso lungo.

È chiaro che, con riferimento all’ipotesi di concorso nel reato risponde di contrabbando colui che interviene consapevolmente nel “percorso criminoso” favorendo, in qualsiasi modo, la circolazione delle merci ma, per il fatto che si tratti di un reato che può consumarsi in diverse fasi della filiera, può capitare, come capita, che, nel contrastare i sistemi fraudolenti, per la complessità delle indagini e la peculiarità della materia, nella fase istruttoria del processo, con particolare riferimento appunto al reato di associazione a delinquere finalizzata al contrabbando, anche il risultato di una semplice intercettazione telefonica può lasciar presumere agli inquirenti il coinvolgimento di imprenditori di fatto estranei al disegno criminoso, contestando anche ad essi il “concorso in associazione”, da scardinare in sede processuale.

Ovviamente il rischio di un coinvolgimento sussiste non solo nell’ambito del contrabbando o delle frodi carosello ma anche ad esempio nei casi di forniture di prodotto adulterato quando, come può capitare, viene acquistato inconsapevolmente dal retista presso depositi rappresentati solitamente da sedicenti trader senza scrupoli.

Coinvolti in buon a fede

La conseguenza è che, nonostante la buona fede, ci si può ritrovare, a fronte di un provvedimento cautelare, molto spesso con i serbatoi e le pompe di erogazione sequestrati, nella difficoltà di dimostrare la propria estraneità e con il rischio di trovarsi nella posizione di coimputato e soprattutto con il rischio della confisca e della imputazione di recidiva nel momento in cui, ovviamente, la somministrazione diventa continuativa e certamente l’operatore non si trova in condizione di far esaminare il prodotto ad ogni carico per verificarne la conformità alle previsioni di legge.

Va detto che il contrabbando nel settore è un fenomeno che esiste da tempo ma che sicuramente si è incrementato nell’ultimo decennio, questo è un dato oggettivo ed è un fenomeno che riguarda sia la rete che l’ extrarete.

Una corretta analisi ci induce a ritenere che esso si è incrementato anche di pari passo con il sempre maggiore gravame fiscale che ha riguardato nel tempo i prodotti petroliferi, nonché con il perdurare della crisi economica.

La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata più volte, ovviamente non ammettendo, quale esimente della responsabilità penale la sopravvenuta crisi economica; con riferimento al “galoppante” gravame fiscale, esso ha sicuramente avuto una sua incidenza sul fenomeno evasivo, senza con questo voler assolutamente giustificare un fenomeno in sé gravissimo ed assolutamente condannabile; ma se non si focalizzano le cause o le concause che possono indurre alla evasione diventa difficilissimo combattere questa piaga, tra l’altro molto ben organizzata.

A riprova di tale asserzione, va detto che operatori del settore, in molti casi persone senza precedenti penali, e dunque senza alcuna indole criminale, si possono trovare coinvolti in processi penali anche complicati, in genere “indotti” nella ragnatela della evasione da taluni sedicenti trader o broker, facilitati, questi ultimi, nel loro malaffare appunto dalla attuale congiuntura del mercato oltre che dal notevole gravame fiscale che colpisce i prodotti petroliferi.

In molti processi penali, con imputazioni per evasione di accise o di imposta sui consumi, già nella fase dell’interrogatorio di garanzia, imputati appartenenti alla filiera commerciale spesso dichiarano che la vera causa o concausa che li avrebbe indotti a delinquere e dunque a rischiare una imputazione in taluni casi autonomamente o più spesso appunto coinvolti da trader, sarebbe stato, a loro dire, l’eccessivo gravame fiscale che li avrebbe resi complici di un reato gravissimo e socialmente deprecabile, quale l’evasione fiscale.

Dunque un fenomeno che necessita, per poterlo eliminare o quantomeno ridurre, di considerazioni anche da parte del legislatore tributario, sia con riferimento ad una minore pressione fiscale che con soluzioni orientate ad esempio:

– ad una ancora maggiore armonizzazione delle tolleranze (cali ed eccedenze) nella tenuta della contabilità dei depositi di stoccaggio;

– ad un maggiore coordinamento, tra Dogane, Amministrazione Finanziaria e Guardia di Finanza, fortemente impegnati su questo fronte;

– a sistemi di verifica e controllo immediati, ad esempio con sistemi di informazione telematica, sul dichiarato status di esportatore abituale, con riferimento alle evasioni di IVA;

– alla costituzione di un tavolo permanente specifico di studio, per la lotta ai reati di contrabbando e frodi carosello;

– nell’ipotesi del reato di truffa ai danni dello Stato (non essendo prevista l’applicabilità per i reati fiscali), favorendo ed incentivando i criteri di filtraggio previsti dall’applicazione dei modelli di cui al decreto legislativo 231 in materia di responsabilità degli enti;

– con l’utilizzo del “reverse charge” per le frodi carosello, finalizzate ad eludere il pagamento dell’IVA.

Ciò detto, senza pretesa esaustiva, vista la crescente ampiezza dei sistemi di frode utilizzati proviamo a richiamare brevemente (anche perché sono sufficientemente note) le tecniche fraudolenti più comuni e rilevanti.

Le frodi più comuni

Con riferimento ai prodotti sottoposti ad imposta sui consumi (ad esempio olio lubrificante) importati da paesi privi di imposizione fiscale sul prodotto, oppure con riferimento ai prodotti con accisa armonizzata, per i quali il presupposto impositivo sorge nel momento della nazionalizzazione del prodotto stesso, la tecnica elusiva sia ai fini imposta di consumo che Iva si sostanzia:

a) nella costituzione in Italia di una società cartiera che provvede a nazionalizzare il bene e sul cui capo sorgerebbe l’obbligo di pagamento della imposta;

b) prodotto che viene dunque ceduto a terzi ad imposta solo formalmente assolta ed il cui percorso continua nella filiera commerciale;

c) mentre la società cartiera ovviamente non verserà mai alcun imposta all’Erario scomparendo nei tempi previsti per un eventuale accertamento a suo carico oppure avendo come rappresentante legale un nullatenente non si pone neanche il problema di una identificazione.

Una frode oramai comune è quella finalizzata alla evasione IVA e praticata con l’utilizzo di società sedicenti esportatrici abituali, ma in realtà prive di tale qualifica e finalità .

La tecnica è abbastanza semplice:

a) viene costituita una “new co”, una nuova società, ovviamente con soci e rappresentante legale “prestanomi”;

b) la “new co” dichiara formalmente al fisco il proprio status di esportatore abituale extraUE con un “plafond Iva” teoricamente da poter utilizzare, ma di fatto inesistente;

c) plafond che, come sapete, quantifica un diritto a maturare un credito di pari importo con esenzione iva all’acquisto;

d) la new co utilizza il plafond presso un deposito che cede il prodotto senza gravarlo di Iva;

e) sostanzialmente la “new co” acquista dal fornitore ad un prezzo senza Iva considerato che il fornitore non è in grado di poter controllare nella immediatezza la veridicità dello status di esportatore abituale;

f) la “new co” dopo aver acquistato senza Iva cede il prodotto applicando l’Iva ai suoi clienti e dunque praticando prezzi fortemente concorrenziali non avendo pagato l’Iva all’acquisto e non versando all’Erario l’Iva incassata dal cliente;

g) questi ultimi ovviamente non possono fare altro che ritenere corrette le forniture perché documentate da DAS e regolari fatture;

h) tutto sta nella tempistica, nel senso che la dichiarazione Iva di un esercizio va fatta alla fine dell’esercizio successivo e nel frattempo, potete scommetterci, la “new co” sparirà e con essa ogni somma da versare all’Erario.

Forse potrebbe essere risolutivo un sistema di informazione immediata telematizzato che consenta di avere in tempo reale ogni informazione sullo status di esportatore abituale all’acquisto.

Un altro caso tipico è quello dei prodotti fiscalmente agevolati, ad esempio il gasolio agricolo.

In questo caso, semplicemente, si acquista gasolio ad aliquota agevolata, usandolo per usi diversi da quelli agevolati (ad esempio acquisto per uso agricolo ma con diverso uso reale).

Ulteriore sistema di frode riguarda un uso improprio dei cosiddetti “coefficienti di conversione” litro/chilo e viceversa, nel momento del carico di magazzino rispetto al momento dello scarico che ne sgrava l’onere fiscale, in assenza di giustificazione sul diverso coefficiente utilizzato.

Ancora più comune è la frode sui cali, laddove semplicemente si sfrutta il limite consentito di cali riconoscibile fiscalmente, in assenza di un calo reale, e sostanzialmente si crea plafond di prodotto da poter utilizzare diciamo fuori filiera.

Va chiarito che i meccanismi fraudolenti citati, utilizzati per evadere l’accisa ed immettere, su un mercato parallelo a quello legale, quantità di prodotto petrolifero, sono definiti impropriamente di contrabbando; ciò in quanto il contrabbando riguarda specificamente la sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine (art. 292 del dpr 43/73 TULD) dunque si può parlare in modo proprio di contrabbando di prodotti petroliferi solo nel caso in cui questi siano esteri e sottratti ai diritti di confine.

I casi di contrabbando

Nella stragrande maggioranza dei casi in cui si parla nominalmente di contrabbando di prodotti petroliferi invece questa tipologia di violazione non si verifica o almeno non si verifica secondo la definizione tecnica.

Chiaramente la nostra analisi si limita a quelle ipotesi fraudolente definite di contrabbando che più si attagliano al settore petrolifero.

Per cui quando si parla di contrabbando di prodotti petroliferi si fa sicuramente ed in ogni caso riferimento alle condotte caratterizzate dalla violazione di uno o più tra gli articoli 40, 47 e 49 del Testo Unico Accise.

L’art. 40 regolamenta i casi di sottrazione all’accertamento o pagamento di accise e le relative sanzioni.

L’art. 47 riguarda i presupposti e le sanzioni nei casi di deficienze ed eccedenze nel deposito e nella circolazione dei prodotti soggetti ad accise.

L’art. 49 riguarda le pene e le sanzioni per la irregolarità nella circolazione delle merci.

Sostanzialmente sono queste le norme di riferimento repressive dei comportamenti considerati di contrabbando.

Tali indicazioni di massima ci inducono ad una riflessione su un argomento di particolare importanza: il reato di “associazione a delinquere finalizzata all’evasione di accisa”.

Diciamo subito che questo tipo di reato richiede quale condizione necessaria per il suo verificarsi una organizzazione stabilmente finalizzata alla commissione di più reati di sottrazione di prodotto petrolifero all’accertamento ed al pagamento dell’accisa.

In questo settore e per questi tipi di frode la contestazione di associazione a delinquere è facilitata, da un lato, dal fatto che tutte le operazioni richiedono necessariamente tre soggetti: venditore, trasportatore ed acquirente o comunque una struttura societaria e quindi personale che operi nel settore.

Le condizioni per l’associazione a delinquere

Per poter contestare l’associazione, oltre alla pluralità dei compartecipi, occorrono ulteriori condizioni:

1) un vincolo associativo tendenzialmente stabile, quindi non occasionale;

2) un programma criminoso finalizzato alla commissione di un numero indeterminato di delitti e dunque non di un solo reato;

3) una struttura organizzativa adeguata alla realizzazione dello scopo criminoso prefissato dall’organizzazione.

La sola esistenza di ricorrenti rapporti commerciali fra i coindagati non può ritenersi di per sé indice della costituzione di un sodalizio criminoso.

Un’ultima considerazione riguarda il rischio di confisca prevista dall’art. 44 del testo unico accise. La fonte normativa richiamata stabilisce che “i prodotti, le materie prime ed i mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli articoli 40, 41 e 43 sono soggetti a confisca secondo le disposizioni legislative vigenti in materia doganale”.

La norma consente di procedere al sequestro preventivo di tutto ciò che è stato utilizzato nella commissione del reato di sottrazione al pagamento o all’accertamento dell’accisa ed è la norma che dispone che una volta giunti ad una condanna per questi stessi reati, le cose che siano state eventualmente sequestrate debbano essere materialmente confiscate dalla autorità giudiziaria e dunque sottratte al patrimonio di chi ha subito la condanna.

Prendendo come riferimento, come già accennato in precedenza, il caso di un operatore che acquista gasolio adulterato nella inconsapevolezza del disegno criminoso (questo accade ovviamente quando l’adulterazione è finalizzata ad un minor costo di produzione “a monte”) è regola che l’autorità giudiziaria provveda al sequestro cautelare della stazione di servizio o delle pompe coinvolte, sequestro orientato eventualmente alla confisca con un danno spesso rilevante per il distributore.

Di recente la Cassazione ha ribadito che il discrimine tra i beni sequestrabili e confiscabili e quelli che, invece, non lo sono, è costituito dall’assenza di un rapporto qualificato con le condotte previste dall’art. 40 del T.U., cioè quando non siano stati direttamente utilizzati per porre in essere la condotta prevista come reato è quindi la linea difensiva, nell’immediatezza di un sequestro, dovrà sicuramente essere quella di cercare di allontanare il maggior numero di beni tra quelli sequestrati dalla specifica condotta che costituisce il reato è di dimostrare che il loro utilizzo è strumentale ad una condotta lecita.

Uno scenario dunque complicato da scardinare che incide sensibilmente in un mercato già esso stesso complesso, sia con riferimento alla normativa fiscale vigente che alla crisi economica e finanziaria che spesso attanaglia gli operatori del settore.

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