Frodi carburanti, un argine alle società “mordi e fuggi”

Tipicamente l’esercizio di attività fraudolenti finalizzate alla evasione fiscale nel settore petrolifero, si caratterizza per la rapidità delle procedure utilizzate e per la ancor più rapida cancellazione dal registro delle imprese delle società che le hanno praticate, sostanzialmente non consentendo al fisco alcuna possibilità di controllo.

Una “mordi e fuggi”, anzi un “mordi e scompari”, lasciando i segni sull’Erario e su chi pratica l’attività nella piena legalità; la possibilità di cancellare la società dal registro delle imprese consente di dileguarsi sottraendosi ad di ogni forma di responsabilità nei confronti dell’Erario.

Al fine di porre rimedio a tale pratica, l’articolo 28, comma 4, del decreto legislativo 21 novembre 2014 n. 175 stabiliva che “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

La Commissione tributaria provinciale di Benevento promuoveva un giudizio di legittimità di tale norma rimettendo la questione alla Corte Costituzionale.

Il rimettente dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 28 del citato d.lgs. n. 175 del 2014, il quale differirebbe l’efficacia dell’estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria e farebbe rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto.

Così operando, secondo il rimettente, la norma, per un verso, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali e, per l’altro, sarebbe affetta da eccesso di delega, trattandosi di intervento che eccede dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, previste dalla delega conferita dalle Camere con l’art. 7 della legge 11 marzo 2014, n. 23.

La Consulta considera la questione di illegittimità costituzionale della norma non fondata, stabilendo che “Quanto alla censura di violazione dell’art. 76 Cost. – logicamente prioritaria, poiché incidente sul piano delle fonti – la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, la quale può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto da tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente … la disciplina introdotta dalla norma censurata non può ritenersi volta alla revisione dei regimi fiscali … o all’eliminazione degli adempimenti superflui …, né, tantomeno, alla revisione delle funzioni dei sostituti di imposta, dei centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali … , sui quali verte la citata disposizione della legge di delega.”.

La Corte tiene inoltre nel merito a sottolineare che tale disposizione, nello stabilire che ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese, si inserisce, derogandola, nella disciplina civilistica della cancellazione delle società dal registro delle imprese.

Vengono richiamate disposizioni della Corte di Cassazione le quali, per un verso, hanno chiarito che la cancellazione dal registro delle imprese determina in ogni caso l’estinzione delle società e per l’altro, che l’estinzione della società si produce anche qualora rimangano debiti insoddisfatti, poiché, in tale evenienza, i creditori potranno far valere, comunque sia, le loro ragioni nei confronti dei soci, considerati successori universali seppur sui generis, e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori affermando che, dopo l’estinzione, la società non può agire in giudizio o essere legittimamente convenuta e che, qualora l’estinzione intervenga in pendenza di giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, con possibile successiva o eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, proprio per sopperire alle divergenze tra la disciplina civilistica e la struttura e le finalità specifiche del controllo tributario, è stato introdotto l’art. 28, comma 4, del dlgs n. 175 del 2014.

Tale disposizione, anche a fronte dell’estinzione della società di capitali (e di persone, come ha avuto modo di chiarire la Corte di Cassazione, sezione quinta civile, sentenza 24 aprile 2015, n. 6743), consente la stabilizzazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, potendo, infatti, quest’ultima effettuare le attività di controllo e di accertamento negli ordinari termini previsti dalla disciplina tributaria, nonché notificare i relativi atti direttamente all’originario debitore.

Tale interpretazione, stabilisce la Consulta, trova conferma nella formulazione dello stesso art. 28, comma 4, del dlgs n. 175 del 2014, nel quale il termine quinquennale è stato individuato – si legge ancora nella citata relazione governativa – “avuto riguardo ai termini di cui agli articoli 43, comma 2, del Dpr n. 600/73 e 57, comma 2, del Dpr n. 633/1972 che disciplinano, rispettivamente, i termini per l’accertamento in ipotesi di omessa dichiarazione II.DD. o Iva”.

La Corte dunque dichiarando non fondate le questioni di illegittimità, tiene a sottolineare che ha già avuto modo di prendere in considerazione le modifiche introdotte dall’art. 28, comma 4, del citato dlgs n. 175 del 2014, rilevando come quest’ultimo si annoveri tra quelle disposizioni orientate a preservare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie e che segnano lo scostamento dalla disciplina ordinaria quale condizione di maggior favore per l’amministrazione finanziaria.

Sostanzialmente una pronuncia che crea un argine di notevole spessore alla pratica delle frodi appunto definibili “mordi e fuggi”.