Lo split payment e le imprese del settore petrolifero

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La possibilità di un ricorso alla Ue quando il fatturato è composto in prevalenza da rapporti commerciali con la P.A., per violazione del principio della neutralità dell’Iva e deroga al principio di parità di trattamento fiscale. La riflessione di Bonaventura Sorrentino dello studio legale e tributario Sorrentino Pasca Toma

Lo split payment rientra tra le misure utilizzate dal legislatore per contrastare l’evasione Iva, anche nel settore petrolifero; uno strumento che si sta però rivelando oneroso per quelle aziende del settore che hanno rapporti commerciali in larga prevalenza, con riferimento al proprio volume d’affari, con la Pubblica Amministrazione.

In sintesi e in linea di principio, lo split payment, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 (Legge numero 190/2014) e poi ampliato recentemente, è il meccanismo per la scissione dei pagamenti della Pubblica Amministrazione che prevede nuove regole per la liquidazione dell’Iva da parte delle PA.

L’articolo 1 della legge di Stabilità 2015 disponeva, per le pubbliche amministrazioni che acquistano beni e servizi, non soggetti passivi dell’Iva, di versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto addebitata in fattura dai loro fornitori; dunque le stesse Pubbliche amministrazioni sono obbligate a liquidare l’Iva sugli acquisiti effettuati, senza che debbano provvedere i loro fornitori.

Tale meccanismo è da considerare una delle misure attuate al fine di evitare le numerose frodi in ambito Iva e più generalmente per contrastare l’evasione fiscale che avviluppa la nostra nazione e dunque meritevole di approvazione.

E’ di tutta evidenza però che lo split payment, trascinando in capo ai contribuenti un credito più o meno rilevante in misura della entità dei rapporti commerciali con la Pubblica Amministrazione, può comportare una perdita di liquidità, anche di notevole entità, che va ad aggiungersi alle fatture spesso “bloccate” nei pagamenti, che sono tipiche dei rapporti commerciali con la Pubblica Amministrazione, potendo diventare, in taluni casi, letale per la continuità aziendale; considerando l’incidenza sui bilanci finanziari e tenendo altresì conto dei tempi reali di rimborso dei crediti Iva.

La considerazione da fare è sempre quella della necessaria attenzione del legislatore ad evitare che la lotta, legittima ed auspicata, alla evasione fiscale, possa poi colpire, indistintamente, anche imprenditori che con le frodi nulla hanno a che fare.

Sostanzialmente, un tale provvedimento, per una corretta efficacia e soprattutto per una giusta incidenza, richiede almeno meccanismi amministrativi perfettamente funzionanti con riferimento alla tempestività dei rimborsi.

Talune categorie imprenditoriali hanno già deciso di ricorrere alla Commissione Europea, ritenendo appunto che lo split payment possa violare il principio di neutralità dell’Iva, anche in considerazione dei reali tempi di rimborso del credito Iva. Sostanzialmente una riflessione va fatta con riferimento ad una evidente discrepanza alla direttiva Iva, con un sensibile svantaggio per un numero rilevante e indiscriminato di soggetti coinvolti.

Se a tutto ciò si aggiunge che il tema del rimborso Iva è stato profondamente modificato nel corso del 2015 con il D.Lgs 158, che ha introdotto alcune importanti novità in materia di sospensione dei rimborsi, nei casi in cui al contribuente siano stati notificati atti da parte dell’Amministrazione Finanziaria, come ad esempio Avvisi di accertamento, Cartelle di pagamento e Comunicazioni di irregolarità, (quindi non pariamo di atti che accertano una avvenuta evasione ma di provvedimenti propedeutici ad ogni accertamento definitivo), diventa tutto più complicato.

Sostanzialmente, il pagamento del rimborso Iva (che per chi è assoggettato al sistema dello split payment può essere notevole) è sospeso sia temporaneamente che definitivamente, anche nel caso in cui gli atti non siano definitivi. Nello specifico l’ufficio può sospendere il pagamento del credito Iva nei casi in cui:

· Sia stato notificato al contribuente un atto di contestazione;

· Sia stato notificato al contribuente un atto di irrogazione della sanzione;

· Sia stato notificato al contribuente un provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi.

In sintesi ed evitando considerazioni di dettaglio sulla sospensione dei rimborsi, sicuramente legittima in linea di principio, qualche considerazione va fatta nelle ipotesi in cui il contribuente è assoggettato al sistema dello split payment, procurandosi gran parte del proprio fatturato con forniture di prodotti energetici allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli istituti universitari, agli enti ospedalieri, alle ASL, alle società controllate dallo Stato, alle società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa e così via, e dunque evidenziando un credito di imposta “sospendibile”, pari a gran parte delle finanze della azienda.

E’ del tutto evidente che la notifica di un atto di contestazione o di un provvedimento con il quale vengono contestati maggiori tributi o mere irregolarità e la sospensione del rimborso effettuata, a prescindere dalla accertata rilevanza e fondatezza della debenza all’Erario, per le imprese che operano largamente con la Pubblica Amministrazione, potrebbe diventare letale per l’impatto che ha sulle finanze delle stesse.

Stiamo parlano, si ribadisce, di aziende che realizzano gran parte proprio fatturato nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, per le quali è del tutto evidente che lo split payment ha un peso ed una incidenza assolutamente dominante sui risultati di bilancio; tutto ciò anche considerando i tempi della giustizia e la difficoltà di ottenere polizze fideiussorie a garanzia della Amministrazione finanziaria che potrebbero anticipare il rimborso, ma difficilmente ottenibili (a parte il costo delle stesse) nel caso di sospensione dei rimborsi di entità pari a gran parte del fatturato.

In questi casi si rischia che il meccanismo dello split payment, con la consequenziale perdita di liquidità e dunque la pesante incidenza sull’equilibrio finanziario delle imprese, possa violare non solo il principio della neutralità dell’Iva ma, considerata l’ampiezza della sua incidenza e l’impatto finanziario sulle aziende coinvolte, una deroga al principio di parità di trattamento fiscale.

Questo il motivo per cui potrebbero forse sussistere, se non si provvede ad una regolamentazione più equa, i presupposti per ricorrere alla Commissione Europea.

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