Rete carburanti, idee per una riorganizzazione “degna ed efficace”

Le riflessioni di Bonaventura Sorrentino – studio legale e tributario Sorrentino Pasca Toma

Tipicamente la riorganizzazione di un “settore aggregato” con riferimento alle piccole e medie imprese che lo compongono, per quanto numerose, è caratterizzata o quantomeno facilitata dalla omogeneità strutturale e gestionale delle aziende che ne fanno parte. Presupposto, quello della omogeneità, che viene meno nella rete del settore carburanti, rendendo tutto più complicato.

Orientarsi alla uniformità dunque dovrebbe essere la regola primaria di riferimento, il punto da cui cominciare al fine di verificare la necessità reale e le corrette modalità di in una qualsivoglia forma di riorganizzazione di una rete distributiva, nella fattispecie frammentata e inefficiente.

Nel caso in questione la sensazione è quella che venga saltata a pie’ pari tale fase, orientandosi, senza dubbi e incertezze, alla chiusura, sulla base di scelte aprioristiche, di taluni impianti.

La disomogeneità tra gli appartenenti alla rete carburanti è verificabile già nella eterogenea regolamentazione degli accordi contrattuali con i gestori, figlia di compromessi, caratterizzata da negozi giuridici quantomeno atipici che si sono succeduti nel tempo senza aver mai trovato una quadra; regolamentazione che lascia perplesso chiunque abbia una minima cognizione giuridica e in particolare giuslavoristica. Regolamentazione ottenuta con l’assistenza complicata degli organismi rappresentativi della categoria e di un legislatore che arranca nel tentare una regolamentazione suggerita che ben si può definire “di imperio”.

La sensazione è che non si riesce a focalizzare uniformemente le finalità della riorganizzazione amalgamandole agli interessi comuni prevalenti.

Così come riesce difficile condividere l’intrusione dei “diktat” del legislatore in una realtà imprenditoriale di natura privatistica, dando la sensazione di appoggiare ogni indicazione di merito a presupposti e necessità spesso non pienamente condivise né oggetto di un’analisi approfondita.

La conseguenza è che da anni nessuno è riuscito nell’intento di porre in essere una riorganizzazione della rete che soddisfacesse tutti o quantomeno provenisse da un disegno aziendalistico condiviso.

Si è orientati alla chiusura di qualche migliaio di impianti (qualcuno dice 5.000, qualche altro 7.000), che restano ovviamente aperti per una serie di problematiche non affrontate preliminarmente e perché forse la loro chiusura andrebbe a indebolire talune posizioni, obiettivamente meritevoli di tutela e riconoscimento per l’impegno concreto profuso.

Manca l’anello di congiunzione da condividere tra la ipotizzata chiusura e la verificabile possibilità di un’alternativa, ad esempio tenendo conto di una realtà prossima che si chiama transizione energetica, con presumibili ampi innovativi spazi di operatività.

Non ci sembra possano esserci dubbi sul fatto che le indicazioni a tutt’oggi delineate non sembrano palesemente orientate ad una regolamentazione soddisfacente per le parti coinvolte, per l’impatto economico e finanziario che una riorganizzazione seria e ben articolata comporta in capo a chi ne subisce le conseguenze.

Ne è prova il sostanziale fallimento dell’Anagrafe degli impianti di distribuzione che avrebbe dovuto identificare il reale stato di compatibilità degli impianti al disposto normativo di merito.

Se a tutte queste considerazioni aggiungiamo il sensibile impatto e condizionamento della illegalità che imperversa nel settore accentuando, per gli aspetti commerciali, le differenze nei bilanci di chi si comporta utilizzando sistemi fraudolenti e chi invece opera nelle regole, è di tutta evidenza che i dati forniti non rispecchiano la potenzialità reale di moltissimi impianti.

Diventa evidente la difficoltà di una soluzione per una riorganizzazione degna e efficace, ma è anche vero che essa può assurgere ad esempio ad un’occasione per una riflessione approfondita su come poter realizzare ed utilizzare “centri di acquisto” del prodotto, che forse consentirebbero un maggior controllo del mercato, migliorando i presupposti per una riorganizzazione della rete.

Così come la atipicità dei rapporti contrattuali con i gestori, innanzi citata ed incidente sulle considerazioni di merito, non contribuisce a creare le condizioni per una metamorfosi di tale rilevanza a tutt’oggi richiesta a gran voce ma normativamente solo accennata, nella sua realizzazione, spesso in modo confuso se non contraddittorio.

Questo accade perché riesce difficile tener conto delle diverse esigenze delle parti contraenti nella loro eterogeneità anche ambientale, in un contratto o “accordo tipo”, che possa definirsi di comodato o di commissione.

Lo sforzo degli organi rappresentativi è stato sempre orientato a porre rimedio alle principali cause del malcontento, provando a superare quelle che sono state ritenute in passato, da una parte dei soggetti coinvolti, inadeguatezze.

Ma forse l’anello debole è la corretta individuazione di un percorso negoziale proprio in prospettiva di una qualsivoglia forma di riorganizzazione.

Forse la prima domanda che bisogna porsi è se si è sicuri che l’elemento discriminante riguardi un erogato “non congruo “ quale elemento di maggiore incidenza sulla debolezza del settore; se così fosse, perché non prendere in considerazione ipotesi alternative e ulteriori di aggregazione orientate a rafforzare economicamente e strutturalmente taluni componenti della rete oppure orientarli a strutturarsi verso forme di energie ulteriori e rinforzando ad esempio il department nonoil, evitando situazioni difficili da gestire come una chiusura forzata o decisa ex lege?

Certo sono considerazioni assolutamente di principio che andrebbero approfondite e verificate da esperti (veri) con tavoli tecnici di spessore.

In sostanza si continua a discutere sul motivo prevalente che giustificherebbe una riorganizzazione; discussione che va a planare sulla chiusura degli impianti ritenuti inadeguati considerando, a seconda della prospettiva scelta, qualche volta il basso erogato fino ad arrivare alla chiusura di impianti per incompatibilità con la sicurezza stradale (tra l’altro con una serie di problematiche sulla attuata competenza a legiferare).

Riorganizzare richiede la costruzione propedeutica delle necessarie condizioni e non certo la forzatura secondo il principio “il fine giustifica i mezzi”.

Notoriamente una riorganizzazione di rete dovrebbe innanzitutto provare a mirare alla continuità aziendale dei componenti oppure ad una trasformazione migliorativa e non puramente e semplicemente ad una soppressione di alcuni di essi; ancor più quando altre realtà dello stesso genere si profilano all’orizzonte.

La necessità di una riorganizzazione nasce dalla esigenza di porre in essere radicali modifiche organizzative al fine di raggiungere i propri obiettivi che si sostanziano nell’assumere un elevato grado di redditività; ne deriva che un piano di riorganizzazione deve innanzitutto mettere in condizione chi ne fa parte di raggiungere, attraverso strategie di riconversione e di nuove penetrazioni commerciali, gli obiettivi richiesti in sinergia con la operatività delle imprese aggregate.

Solo successivamente e con la massima attenzione si possono ipotizzare la chiusura degli impianti non solo al momento inefficaci ma anche senza alcuna possibilità di ripresa; contrariamente, ossia con decisioni d’imperio o quantomeno non condivise con tutti i gestori e gli operatori, come quelle che si è provato a realizzare, difficilmente si potrà avere un risultato soddisfacente.

Lo stesso progetto dell’onorevole De Toma, che sembra ottenere consensi, ripercorre la strategia della chiusura dei punti vendita obsoleti e inefficienti accompagnata dall’erogazione di indennizzi per la bonifica ambientale e favorendo la riconversione tecnologica attraverso strumenti agevolativi per chi resta.

Una nota positiva riguarda l’impegno a elevare i livelli di tutela e protezione delle condizioni contrattuali scongiurando abusi di dipendenza economica nei rapporti tra titolari degli impianti che sono fornitori in regime di esclusiva ed i gestori, con particolare attenzione ai trattamenti minimi delle gestioni nel caso di inosservanza della contrattazione.

Ma molte altre sono le problematiche di cui tener conto partendo dalle considerazioni di premessa innanzi riportate.